Poesie con gli occhiali

Eccola qui, la mia prima raccolta bilingue. Le poesie si sono fermate per un caffè al Pedrocchi, mentre i loro occhiali guardano già verso il Salone del libro. Seguite gli occhiali! 🙂

PS:
nel frattempo, potete trovare il mio libro qui:
https://www.edizioniensemble.it/prodotto/poesie-con-gli-occhiali/

Recensione Martina Toppi

Martina Toppi si è soffermata a scrivere delle piccole utopie contenute ne I corpi che non ci calzano mai a pennello, il mio libro. Io, che sono anche il curatore di un’antologia chiamata “Poesia antiutopica”, ho letto la sua recensione con grande speranza. Ma verso la fine dice: “Ecco allora che utopia e incubo coincidono”. E e ha pienamente ragione 😀 

Recensione a “I corpi che non ci calzano mai a pennello” di Daniel D. Marin – Alma Poesia

I corpi che non ci calzano mai a pennello, titolo di una raccolta di Daniel Marin (Interno Libri, 2022), quale tipo di vestiario rappresentano? L’elegante vestito della cena di sabato sera o le scarpe con cui ogni giorno ci muoviamo nel mondo? La domanda sorge spontanea, non solo leggendo il titolo della raccolta, ma anche sfogliandone i versi. Versi che servono a dare voce a personaggi comuni e al tempo stesso impossibili, nella misura in cui i loro tratti più peculiari – quelli che, in fondo, si celano nel profondo di ciascuno di noi – vengono esagerati dalla voce del poeta, oppure laddove è il loro corpo intero, la loro esistenza completa, a costituire un’eccezione surreale ai «pigri accadimenti della vita». Nella nota al testo di Rodica Darghincescu si legge infatti che «Daniel. D. Marin scrive su fogli neri con dadi in legno di abete. Senza conoscere confini. Una poesia di utopie minimaliste ma sovversive».

Ma l’utopia dove risiede? Nei cuori e negli occhi che a più riprese, di componimento in componimento, vengono strappati dalle loro sedi, scambiati con altri, gettati via, per le più svariate ragioni? («e il vecchio vide il proprio cuore di neonato / e gli venne una tale timidezza / da infilarsi in petto la mano destra, / afferrò il cuore, se lo strappò e furtivo / lo nascose dietro la schiena»). Oppure in queste voci stonate che tuttavia hanno il coraggio di parlare, fosse anche solo a sé stesse? (« […] il signor R. parla con gli uccelli / e gli uccelli parlano con il signor R., / il signor R. parla con gli umani e gli umani / non parlano con il signor R.»). La dimensione del grottesco, presto pronta a trasformarsi in senso del macabro, dei versi di Marin si scontra apertamente con quell’utopia, di cui Draghincescu parla, e soggiace a ognuna delle sei parti di cui l’opera si compone: «un macellaio mi taglia le gambe dei fianchi, / striscio, devo arrivare da qualche parte, / il sole è bianco come la calce, mi perfora gli occhi,/ presto sarò cieco, ma continuo a camminare brancolando / cercando di arrivare da qualche parte, / tendo le braccia e le mie braccia / si staccano dal corpo e cadono».

Immergersi in questa dimensione quasi bipolare tra sogno e incubo non è difficile per il lettore, a sorpresa, ma costruirla coi sembra un lavoro estremamente complesso. Si parte dal ritmo della parola – non sempre generata in italiano, ma talvolta tradotta dal romeno, lingua madre e terra di partenza di Marin, oppure ancora mediata da una seconda traduzione in inglese – che richiama ora la dimensione dell’incubo lento e circospetto nel mostrarsi come tale, ora quella dell’allucinazione dichiarata, ma non per questo meno seducente. Non c’è soluzione di continuità dall’uno all’altra, come non c’è soluzione di continuità nel passaggio dalla dimensione del grottesco (personaggi che fanno pietà e al tempo stesso fanno sorridere popolano i versi: «solo gli occhi mi sono rimasti, sono gli occhi e null’altro / e vedo a rallentatore come nella stanza entra un tricheco in / camice bianco, occhiali tondi dalla montatura dorata / e stetoscopio, mi viene accanto, mi visita con aria / grave, prende nota nella cartella clinica e va via») a quella del macabro. Dimensione, quest’ultima, fatta inequivocabilmente di parti di corpi fisici. Tangibili.

Daniel Marin, Copertina, Alma Poesia

La raccolta infatti parte proprio da una scoperta intima e personale del proprio corpo e della sua essenziale fragilità, che il poeta compie in un tempo che, nonostante il presente del verbo poetico, appartiene chiaramente al passato («il mio corpo vuoto fatto di morbido lattice elastico, / chiunque può gonfiarlo / proprio come un palloncino, / e poi lasciarlo andare nell’aria ardente»). Da lì si inizia a costruire l’utopia e lo si fa osservando il corpo degli altri. Il mutamento di prospettiva, caro a Marin sin dalle Poesie con gli occhiali (Tracus Arte, 2014), si ripropone continuamente in questa raccolta edita per Interno Poesia: le storie dei corpi che passano attraverso i versi vengono narrate dall’esterno dei personaggi che le vivono, ma anche dall’interno, in parte dal poeta che si identifica con loro, attraversandoli, oppure ancora dal poeta che li guarda scorrere, da lontano, nella vita. Il registro drammatico, cui fa riferimento la seconda nota al testo di Giancarlo Sissa, è di «straordinaria intensità e sconfinante in una dimensione forse inattesa, ma in realtà conseguente con le profondità del discorso, in cui sadismo e masochismo si contendono la scena». Di nuovo, sadismo e masochismo, come grottesco e macabro, sono termini utili per parlare della poesia di Marin.

Tornando quindi a quella domanda iniziale, come si configura in questi versi l’utopia?

A rispondere, più di molti altri personaggi i cui corpi costruiscono l’impalcatura della raccolta e dell’esperienza che il poeta ha della vita, c’è il signor R. Proiezione di un io nascosto del poeta o del lettore, comunque lo si voglia intendere, egli rappresenta l’io che si riconosce goffo e buffo, ma non per questo rinuncia a dare voce, fosse anche solo sottoforma di pensiero, alle proprie aspirazioni («“ahimè, al giorno d’oggi nessuno apprezza più / un incunabolo, è terribilmente triste / essere l’unico a rallegrarsi del fascino di un libro antico, / meglio andare a sedersi su una panchina al parco – / dove passa tanta gente che ama leggere / perché così non sarebbe escluso che qualche signore / o qualche signorina elegante potrebbe manifestare / la propria curiosità anche solo per gentilezza / e, ovviamente, io sarei felice e spiegherei minuziosamente / di cosa si stratta, anche se”, si interruppe trasognato il / signor R., “questa gioia mi pare non sia proprio completa” »).

Che si tratti di conversare con una donna o di conquistarla, di condividere con qualcuno la propria passione, avere costanza di portarle a termine, dare corpo alle proprie emozioni, il signor R. spera più di ogni altra cosa di poter essere sé stesso. Lo fa osservando ciò che conosce e che ritiene prevedibile, le leggi dell’Universo, la galassia di Andromeda (che per antonomasia costituiscono però simbolo perfetto del mistero da indagare), e in questa fascinazione riconosce la propria irrisolvibile solitudine ed estraneità dal mondo, tratto comune ai tanti corpi-personaggi che abitano la poesia di Marin e che pure si sentono isole in oceani sconfinati. Ciò che crea il senso di straniamento per eccellenza, infatti, è l’altro da sé: per il signor R. è una donna, per chi risponde con la violenza alla paura è colui che profetizza il futuro, che parla da solo per strada, è l’uomo del canneto, anche lui simile a un profeta, amato solo dai cani e odiato dagli uomini, un vecchio criticato da un bambino, le false memorie dell’uomo senza volto e le tante altre deviazioni dalla norma che questi versi offrono al lettore, in una poesia che non si fa mai esplicativa, ma che anzi affida alla narrazione il compito di mostrare senza dire.

Ecco allora che utopia e incubo coincidono: il sogno, quasi irrealizzabile, di rivedersi nell’altro e dall’altro sentirsi compreso e accettato diventa timore della fagocitazione definitiva, della perdita del sé, nel tentativo disperato di trovare un proprio posto nel mondo e di essere approvato da chi nel mondo vive insieme a noi. Una paura perfettamente rappresentata nell’ultima parte della raccolta, costituita da un unico componimento: Il grifone.

«Nella poesia di Daniel D. Marin – scrive infatti Draghincescu – accade, con naturale dualità, l’innaturale, “in una congiuntura astrale favorevole”, grazie alla quale il senso comune viene schiacciato imbrattando di sangue i muri del “forse” e del “probabile”, segnando semanticamente il luogo, come spazio del gioco osservato».

Daniel Marin, Alma Poesia

Daniel D. Marin, nato in Romania, rinato in Sardegna, vive ora a Padova. È autore di cinque raccolte poetiche in romeno, tra cui L’ho preso da parte e gli ho detto (2009; Premio Nazionale Marin Mincu 2010) e Poesie con gli occhiali (2014; Premio Nazionale di Poesia George Coșbuc 2015), e di un piccolo diario, Dalla Romania ci sono solo io (2018). È curatore di un’antologia retrospettiva della Generazione 2000 della letteratura romena, Poesia antiutopica. Un’antologia del duemilismo poetico romeno (2010), e di BorderLine 2000. Dieci autrici per un’antologia della poesia di oggi (2021). Per l’edizione 2015 del Festival Internazionale di Poesia di Bucarest ha tradotto poesie di Annelisa Alleva. Tra il 2013 e il 2016 ha selezionato i testi degli autori romeni per la rassegna Poesia a Strappo (Alghero). Presente in Congiunti (Edizioni Ensemble, 2020), un’antologia del grande lockdown del 2020. Nel 2022 è uscita la sua raccolta poetica I corpi che non ci calzano mai a pennello (Interno Libri Edizioni; Premio Libro di poesia al Festival Internazionale di Poesia Getafe Madrid, edizione Mihai Eminescu, Spagna, 2023).

Assonnati uccellini

In occasione della Giornata europea delle lingue ho tradotto “Assonnati uccellini” di Mihai Eminescu, una delle poesie romene più amate sia dai bambini che dai genitori e dai nonni:

Assonnati uccellini

di Mihai Eminescu

Assonnati uccellini
Ai loro nidi si raccolgono,
Tra i rametti si nascondono –
Buona notte, miei bambini!

Le sorgenti hanno un sospiro,
Mentre il bosco nero tace;
Dormono i fiori in giardino –
Piccolino, dormi in pace!

Passa il cigno, puro canto,
Tra le canne per sdraiarsi –
L’angioletto ti stia accanto,
Dolce sonno, voli sparsi!

Sull’incanto della notte
Maestosa si alza la luna,
Tutto è sogno, ci accomuna –
E allora, buona notte!

Equivalente di Dante Alighieri in Italia, di Goethe in Germania, di Cervantes in Spagna, di Hugo in Francia, poeta enciclopedico, considerato dallo storico romeno Nicolae Iorga come il fondatore della lingua romena moderna, Mihai Eminescu ha un ampio ventaglio di temi poetici ricorrenti, dalla natura e dall’amore alla storia, dal cosmo alla condizione del genio (nello spirito della filosofia di Schopenhauer), non evitando il commento sociale. Poeta molto musicale, con studi filosofici a Vienna e Berlino, ci ha lasciato anche una splendida poesia su Venezia (tema pan-romantico!), nonostante non l’avesse ancora visitata. È il primo importante autore di novelle fantasy della letteratura romena. Lo scrittore rumeno contemporaneo Mircea Cărtărescu ha detto che Sărmanul Dionis (“Il povero Dionigi”, 1872) è stata la sua lettura più importante. Elogiato da quelli che hanno dichiarato di odiarlo di più, amato dai bambini e dagli scrittori, l’ultimo romantico europeo continua a battere record.

PS:
Una presentazione del progetto sul sito dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia – link

L’EUNIC Milan ha creato un video in cui vi presenta diverse filastrocche e scioglilingua delle varie lingue europee:

i miei “corpi” in viaggio verso LucaniArt

Su LucaniArt Magazine, una recensione del mio libro a cura di Maria Allo:

Un viaggio nelle poesie – corpi di Daniel D. Marin
(recensione di Maria Allo)

“tutto ciò che so è che devo arrivare da qualche parte”
(da Sto solo camminando p.52)

Daniel D. Marin è una delle voci dell’ultima generazione dei poeti rumeni post-anni 2000 più interessanti. “I Corpi che non ci calzano mai a pennello”, attraverso le sezioni distinte e unitarie (dai dilemmi del signor R., la voce, il sacco, spazio intimo, tutta la sera e il grifone), è una sorta di cortometraggio che nasce dalla persuasione del suo autore, conseguenza di una serie di trasformazioni culturali, che non è più possibile definire univocamente il concetto di realtà e che comunque essa risulta più problematica e complessa di quanto non si presupponesse prima. La psicoanalisi con la scoperta di una dimensione nascosta della personalità, e l’evoluzione della scienza, con le teorie della relatività e della meccanica quantistica (“come nelle teorie di Max Planck, dice nella nota al testo Rodica Draghincescu), sono riconducibili alla linea di tendenza e alla scelta compositiva della raccolta, costruita sul filo di un viaggio “dei corpi” in presa diretta. L’autore tenta di cogliere nel suo caotico fluire la vita interiore ed esteriore dei personaggi  come negli scrittori anglosassoni (Joyce e Woolf); si tratta di una forma nuova ed estrema di realismo, in ultima analisi di «microrealismo magico». La stessa lingua adottata dal poeta spesso giocata sulla rappresentazione del “vissuto” dei personaggi fin dalla prima sezione: “potrebbe dire audace: “ha un abito superbo/il colore e il taglio valorizzano la sua silhouette!” / ma suonerebbe come dire che la sua silhouette è imperfetta/ Dio mio, che figuraccia!”(dai dilemmi del signor R), mediante l’uso del discorso indiretto o indiretto libero diviene oggetto di interessanti elaborazioni stilistiche, rivolte a rendere il caos della realtà e la vita della coscienza o a fissare nella pagina alcuni momenti privilegiati dell’esistenza. In questo quadro di libere ricerche espressive, accade anche che l’incompiuto assuma un valore emblematico come testimonianza di un tentativo di rappresentare l’infinita complessità (o il mistero) del mondo. A questo proposito, va sottolineato che i personaggi sono in genere dei personaggi problematici o che comunque vivano in modo conflittuale la loro condizione di estraneità e di separatezza nei confronti del mondo circostante, dunque degli individui spesso segnati da un eccesso di riflessione, che li condanna a una condizione di sradicamento e solitudine o con l’ironico distacco dell’intelligenza come l’”uomo senza qualità” di Musil. Un secondo elemento fondamentale di questo libro è l’immagine saliente del flâneur: come Rimbaud, Daniel Marin rumeno, da un decennio in Italia, figura inquieta che non può arrestarsi mai, vive in una permanente condizione di esodo, di allontanamento, mettendo in scena il viaggio totalmente “aperto” e in grado di offrire solo punti di vista limitati, che coesistono che si escludono a vicenda in una cultura che ha ormai smarrito la capacità di pervenire a una sintesi complessiva. Nell’opera di Daniel Marin gli accadimenti dei suoi personaggi sono l’emblema di una crisi che investe il soggetto e l’intera società contemporanea, certo, Daniel Marin non prospetta alcuna redenzione e immette nei testi una componente ossessiva, tuttavia la voce del poeta può levarsi a testimoniare, preservando una sua visione del mondo che dissolve l‘dea di una realtà oggettiva uguale per tutti.          

Maria Allo

dai dilemmi del signor R.

a Mihai Ursachi

il signor R. sembra molto inquieto oggi. ripete a memoria
lambiccate formule di cortesia e nemmeno una gli sembra
abbastanza appropriata. potrebbe dire timorosamente:
“mi fa davvero piacere, signorina, poterle dire buongiorno!”,
ma suonerebbe un po’ scialbo, è come dire
a chiunque “buongiorno!” senza che questo significhi granché
potrebbe dire audace: “ha un abito superbo,
il colore e il taglio valorizzano la sua silhouette!”,
ma suonerebbe come dire che la sua silhouette è imperfetta
(Dio mio, che figuraccia!) e che basterebbe un semplice abito
a rimediare all’infelice difetto
oppure potrebbe dirle con aria ispirata:
“lei è una creatura meravigliosa, assai più
di quanto l’ho immaginata in tutte le mie notti insonni!”,
ma così non darebbe l’impressione di aver fantasticato
su di lei innumerevoli volte in differenti circostanze
e allora lei potrebbe crederlo un maniaco
o, chissà, forse anche peggio?
ma potrebbe dire solo questo: “perdoni l’ignoranza,
signorina, è tutto il giorno che penso
a cosa potrei dirle, ma non trovo nulla di adatto!”,
e solo allora, imbarazzato dalla sua ridicola inadeguatezza,
si disintegrerebbe forse all’istante in miliardi
di infime particelle di materia e con indicibile
rammarico si disperderebbe per tutto l’Universo.

Daniel D. Marin, “I corpi che non calzano mai a pennello”, note al testo di Rodica Draghincescu e Giancarlo Sissa, InternoLibri, 2022